Beatrice Vio e il suo secondo tempo
Beatrice Vio ha sempre avuto la passione per la scherma, un amore sbocciato all’età di 5 anni e mai venuto meno, neppure quando la malattia sembrava volerle portare via tutto.
Ecco il motivo per cui voglio parlarti di Beatrice Vio e della sua incredibile storia.
È il 19 Novembre 2008.
Beatrice, chiamata da tutti Bebe, ha 11 anni e come ogni mercoledì si sta allenando a scherma.
Decide di farsi venire a prendere dalla madre, non riesce ad allenarsi con quel mal di testa.
Forse si tratta d’influenza, la stessa che aveva tenuto a casa per una settimana la sorellina Sole.
Beatrice Vio e la sua incredibile storia
La mattina successiva Beatrice, detta Bebe, rimane quindi a casa, in compagnia della signora delle pulizie, mentre mamma si reca a fare la spesa.
Quando la mamma rientra trova la figlia con la febbre alta e vomito.
A quanto pare l’influenza sarebbe stata più forte del previsto.
Ad un certo punto però lo sguardo della mamma si sofferma sul volto della figlia: “Bebe, ma ti hanno dato una fiorettata in fronte?”.
“Mamma, guarda che io uso la maschera!”
Eppure sulla fronte di Beatrice Vio era apparso un livido ben evidente come quello lasciato dalla punta del fioretto quando colpisce forte la tuta.
Subito un’altra macchia appare sul petto.
Nel giro di poco tempo il corpo della ragazza si copre di lividi.
Non era influenza, era qualcosa che avrebbe cambiato la vita di Bebe Vio per sempre.
La meningite fulminante stava attaccando il suo corpo e lo stava facendo all’improvviso e con inaudita violenza.
Quei lividi che stavano ricoprendole il corpo era tutti trombi, coaguli di sangue che si erano formati nelle vene e che uno dopo l’altro stavano scoppiando… ma Bebe e i suoi genitori ancora non lo sapevano.
Le statistiche parlano chiaro. I medici dissero loro che nel 96% delle probabilità Beatrice Vio sarebbe morta.
Questa è la meningite fulminante.
Beatrice Vio e i 104 giorni in ospedale
Furono necessari 42 giorni di camera iperbarica per aiutare i medici a capire fin dove si era propagata la setticemia.
Molte delle vene di Bebe non erano più funzionanti. In quelle aree quindi il sangue non sarebbe mai più circolato con tutto ciò che ne può conseguire a livello di tessuti e organi.
I medici dovevano capire prima possibile quali erano le vene compromesse, quali parti delle braccia e delle gambe erano ancora vive.
I medici avevano preparato tutto per il primo intervento. Dovevano “aprire” per capire com’era realmente la situazione.
Nessuno sapeva cosa aspettarsi dal quel primo intervento anche se i genitori conoscevano bene la situazione delle mani di Beatrice.
Nonostante infatti i bendaggi celassero le condizioni dei tessuti mamma e papà sapevano bene che le mani della figlia erano letteralmente morte.
Quando Bebe Vio uscì dalla sala operatoria con le mani amputate fino a metà avambraccio i genitori ebbero conferma di quanto già si aspettavano.
Lei invece non credeva, per quanto fossero critiche le sue condizioni, che le avrebbero amputate.
“Ma a undici anni, per quanto le tue mani siano messe male, non penseresti mai che possano tagliartele.”
Ogni sera i genitori rientravano a casa per cercare di riposare un poco con quell’incrollabile speranza che il telefono non squillasse, che nessuna telefonata giungesse dall’ospedale.
In piena notte, nel mezzo del silenzio assordante a causa dei mille pensieri, sembrava sempre di sentire qualche squillo, quello squillo.
Si alzavano spesso per chiamare l’ospedale, volevano sapere se la loro figlia era ancora viva.
L’infezione purtroppo era molto estesa, anche le gambe erano nella stessa condizione delle mani.
L’indomani mattina era fissata la nuova operazione. Entrambi gli arti furono così amputati sotto le ginocchia.
Il male peggiore però arrivò in seguito, con i trapianti di pelle sui monconi.
Prelevavano delle pelle sana dalla pancia e dalla schiena per riattaccarla sulle braccia e sulle gambe.
Quando le medicazioni si facevano troppo dolorose i medici le iniettavano in vena un anestetico in modo che Bebe si addormentasse e non sentisse più dolore.
Quando però i valori del fegato arrivarono ai limiti i medici non poterono più iniettarle il farmaco, tutto sarebbe avvenuto da sveglia.
“Ogni giorno dovevo fare una lista di quello che mangiavo e una lista da uno a dieci del male che provavo. Non dicevo mai dieci perché pensavo che ci sarebbe stato sempre qualcosa di peggio. Sono arrivata a nove e mezzo quando mi hanno tolto la pelle dalla schiena. Ho un flash in cui mi vedo come dall’angolo in alto della camera, il letto appoggiato contro il muro, un letto durissimo, e io che grido: «Nove e mezzo!». Poi mi hanno dato un letto ad aria, cioè un letto che aveva un buco nel centro e una ventola sotto, e ho cominciato a soffrire di meno.”
Beatrice Vio e il suo secondo tempo
Il 3 Marzo del 2009, il giorno prima del suo compleanno, finalmente Beatrice Vio esce dall’ospedale.
Quei 104 giorni sono terminati e ha inizio il secondo tempo della sua vita.
Tutto finito quindi?
Niente affatto.
Adesso cominciava un nuovo percorso fatto di 5 giorni a settimana di fisioterapia e riabilitazione.
Le grosse cicatrici infatti avevano saldamente legato i movimenti delle ginocchia e dei gomiti tanto da non poterli distendere.
Le medicazioni erano ormai un rito giornaliero ed erano tutto tranne che piacevoli… erano una vera e propria tortura.
“Ma sapete una cosa? Devo dire GRAZIE alle medicazioni se sono tornata a essere l’ottimista che ero. È stato in uno dei miei momenti di down in cui gridavo che basta, non ne posso più!, voglio morire!, mi butto dal letto!, mi suicido!, che papà mi ha guardata e mi ha detto: «Ma smettila! Goditela, perché la vita è una figata». E, in effetti, a pensarci bene ho capito che aveva ragione…”
L’allenatore della Nazionale paralimpica di scherma, Fabio Giovannini, fu chiaro in merito alla possibilità che Bebe potesse riprendere l’attività agonistica di scherma. “…senza il polso e le tre dita – pollice, indice e medio – non si può fare scherma, e non è una questione di opinioni. Come lo impugni il fioretto? Come lo fai il gioco di polso?”
Beatrice Vio campionessa del Mondo
Ma come avrete capito Bebe Vio è testarda ed è proprio grazie alla sua tenacia, alla sua dedizione e passione per la vita e per la scherma che:
- nel 2011 diventa campionessa italiana under-20
- nel 2012 e 2013 viene riconosciuta come campionessa italiana assoluta
- nel 2014 vince l’oro nei Campionati Europei paralimpici
- nel 2015 vince l’oro nei Campionati Mondiali paralimpici
- nel 2016 vince sempre l’oro nei Giochi paralimpici a Rio de Janeiro.
- sempre nel 2016 riceve il “Collare d’Oro al Merito Sportivo” la massima onorificenza conferita dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano.
“Inutile dire che da quel giorno non sono mai più scesa dalla carrozzina da scherma e non ci penso proprio a tornare a tirare in piedi (utilizzando le protesi). Perché? Nella scherma in piedi quando sei in difficoltà o non sai che pesci prendere, puoi scappare a fondo pedana. In carrozzina non puoi fuggire. Sei bloccato, la distanza fra te e l’avversario è fissa. Quindi, la morale è: se non puoi scappare, non puoi aver paura. E questa cosa mi fa sentire proprio frizzante, mi fa sentire come una lattina di Coca-Cola pronta da aprire, con tutte le bollicine che salgono in superficie. Provo delle emozioni che non provo in nessun altro momento.”
Beatrice Vio, il fioretto e l’autoironia
Ho terminato di leggere la sua biografia: “Mi hanno regalato un sogno: la scherma, lo spritz e le Paralimpiadi”
È stata proprio questa emozionante lettura a farmi scrivere l’articolo.
Ci sono ricordi in quelle pagine da far venire la pelle d’oca così come aneddoti o commenti di Bebe che ti fanno sorridere.
Infatti, quello che emerge fin dalle prime pagine del libro è come Beatrice Vio oltre al fioretto abbia scelto anche un’altra arma, quella dell’autoironia.
Una qualità che l’ha aiutata ad affrontare la grave malattia, ad accettare la sua nuova condizione e a scherzarci sopra.
“Ho sempre saputo che avrei potuto ricominciare a fare scherma. Quando l’ho chiesto ai medici mi hanno, diciamo, sputato in un occhio. Quando l’ho chiesto a quelli delle protesi, si sono messi a ridere. Però io fin da subito ho capito che sarei riuscita a ritornare”.
Sui social troverai infatti numerose foto che in maniera immediata ci fanno capire la forza interiore di questa ragazza.
Guarda ad esempio l’immagine di questo paragrafo.
La si vede intenta a fare un selfie in compagnia di Massimiliano Rosolino e Federico Russo utilizzando una delle sue protesi come asta per il selfie.
Quando si riesce a scherzare, a ridere sull’evento più brutto della propria vita, significa che niente e nessuno potrà mai destabilizzarci.
Significa che il nostro equilibrio mentale e la nostra forza interiore sono più forti di qualunque altra cosa.
Beatrice Vio: Destinazione Rio – La scherma è vita
Fatti emozionare ed ispirare da questo splendido filmato di Bebe Vio.
Per concludere
T’invito a leggere “Mi hanno regalato un sogno” perché la storia di Bebe Vio è una vera e propria lezione di vita.
Questa ragazza c’insegna a non lasciarsi mai sconfiggere dagli eventi e di come sia possibile reinventarsi attraverso il potere delle decisioni e della determinazione.
La vita di questa ragazza è senz’ombra di dubbio una toccante e concreta testimonianza di come sia possibile affrontare grandissime sfide e vincerle, persino quelle per le quali sembra non esserci speranza alcuna.
La storia di Bebe Vio parla di avversità, di dolore, di enormi sofferenze e grandi sacrifici ma anche di forza, coraggio, passione, amore, motivazione, sogni e resilienza.
C’è una bellissima frase di Beatrice Vio con la quale voglio concludere l’articolo:
“Nella vita è lo stesso: c’è un problema, o trovi una soluzione o rinunci, e io personalmente mi diverto troppo per rinunciare.”
E tu, quali che siano i problemi che stai incontrando lungo il cammino, li stai affrontando o ti sei già dato per sconfitto?
Articolo Beatrice Vio – Immagine di copertina di Marie-Lan Nguyen / Wikimedia Commons
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