Aron Ralston: non arrendersi mai

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Storie di sopravvissuti come quella di Aron Ralston non può che lasciarci un profondo e indelebile messaggio: non arrendersi mai, neppure quando sembra davvero tutto finito.

“Sono le 15:05, è domenica. Sono passate 24 ore da quando sono rimasto intrappolato…”

Di fronte a situazioni che ci gettano improvvisamente tra la vita e la morte quella di Aron Ralston è un concreto esempio di tenacia e resilienza, che ci fa riscoprire quanto possa essere forte la determinazione di una persona.

In situazioni terribili come questa infatti il desiderio di vivere tende ad essere persino offuscato dal desiderio di smettere di soffrire e lasciarsi andare.

Aron Ralston però decise che non sarebbe morto in quel modo.

Voleva a tutti i costi tornare dai suoi cari.

 

Aron Ralston: non arrendersi mai

26 Aprile 2003: Blue John Canyon, Utah.

Era una splendida giornata di sole e Aron Ralston si stava dedicando alla sua più grande passione: arrampicarsi su quelle stupende pareti di roccia.

Mentre scendeva in uno dei numerosi stretti passaggi del canyon smosse accidentalmente un grosso masso.

In un attimo Aron Ralston si ritrovò con il braccio destro schiacciato e incastrato tra la parete di roccia e il masso.

Il dolore accecante lo portò istintivamente a retrarre la mano ma in quell’attimo si rese conto di qualcosa di terrificante: il braccio era saldamente incastrato e niente lo avrebbe potuto aiutare a sfilarlo.

 

Non ti arrendere mai. Di solito è l'ultima chiave del mazzo quella che apre la porta. (Paulo Coelho) Click to Tweet

 

Aron Ralston - non arrendersi mai - il sasso - uym

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Aron Ralston e quel maledetto masso

Mentre cercava con ogni sforzo di sfilare il braccio o smuovere il masso, un atroce pensiero lo bloccò: nessuno sapeva della sua giornata tra le montagne, nessuno sarebbe mai potuto venire a salvarlo.

Aron Ralston si trovava a 20m dalla superficie, bloccato da un masso di 360kg: sarebbe morto là sotto.

Il desiderio di fuggire da lì lo portò a provare e riprovare a smuovere e a spezzare in qualche modo il macigno.

Niente da fare, il masso era di solida roccia e l’enorme peso rendeva ogni tentativo vano.

 

Un’agghiacciante soluzione

Due burritos e 350ml di acqua erano tutto ciò che aveva a disposizione per ritardare la sua morte.

Sorseggiando la poca acqua e dando piccoli morsi al cibo Aron Ralston rimase laggiù, in mezzo a quello stretto canyon per 3 interi, lunghissimi, logoranti giorni.

A quel punto la disidratazione cominciò a farsi sentire e Aron, stremato e in preda alle allucinazioni, cominciò a prendere in seria considerazione quello che inizialmente era sembrato solo uno stupido pensiero: se voleva uscire vivo di lì avrebbe dovuto amputarsi il braccio.

— STOP : Di seguito ho descritto alcune scene “forti” che potrebbero darti fastidio. Vedi tu se continuare la lettura o saltare riprendendo poco più avanti dopo la scritta rossa —

Tutto ciò che aveva era un piccolo coltello tascabile.

Cominciò così a fare dei tagli superficiali all’altezza dell’avambraccio.

Aron Ralston sapeva che doveva andare oltre e così cominciò ad affondare ulteriormente la lama per recidere i tendini e i fasci muscolari.

Utilizzò ciò che aveva per creare degli improvvisati lacci emostatici in modo da rallentare la fuoriuscita di sangue.

Aron Ralston stava lottando contro il dolore ma sopratutto stava lottando tra la vita e la morte.

Probabilmente ci fu qualcosa che gli fece però più male dello stesso atroce dolore che si stata infliggendo: quando la lama del piccolo coltello tascabile arrivò all’osso del braccio, Aron Ralston si accorse che non sarebbe mai riuscito a tagliarlo.

Nel frattempo un altro delirante giorno passò e l’acqua e il cibo erano terminati.

Aron cominciò così a bere la sua urina nella speranza di rallentare in qualche modo quella che era oramai una certezza: la sua morte.

Aron Ralston e il video messaggio per dire addio

Con il coltellino cominciò così a incidere nella roccia il suo nome, la data di nascita e la data della presunta morte.

Era infatti convinto di non riuscire a passare un’altra notte.

Era privo di forze e disidratato.

Con la telecamerina che aveva con se decise di registrare il suo ultimo saluto alla famiglia.

Quello che segue è il video reale girato da Aron Ralston intrappolato nel canyon per 127 ore.

Questo brevissimo addio è in lingua originale per cui ti riporto di seguito la traduzione.

“Mi chiamo Aron Ralston, mio padre Dan Ralston. I miei genitori vivono in Colorado, cercate di mettervi in contatto con loro. L’apprezzo.”

 

 

Aron Ralston e la voglia di vivere

È l’alba del 1° Maggio, il sesto giorno.

Aron Ralston nonostante sia ad un passo dalla morte è ancora in vita: stremato, disidratato, confuso e impaurito.

Aron non voleva mollare, Aron Ralston voleva uscire da quel maledetto canyon per riabbracciare i suoi familiari.

Facendo leva sulla pietra che lo schiacciava decise che l’unico modo per uscire era spezzare con un forte, deciso colpo le due ossa, ulna e radio.

Le ossa si ruppero e con il coltellino cominciò a tagliare gli ultimi lembi di muscoli e tendini ancora attaccati.

— PROSEGUI – Se hai preferito saltare la descrizione delle scene più forti puoi riprendere la lettura dell’articolo da questo punto —

 

Ciò che sembrava impossibile era diventato realtà: Aron Ralston era finalmente libero… quasi.

Applicando un bendaggio improvvisato doveva riuscire adesso a risalire il canyon: 20m lo separavano dalla superficie. Non aveva più forze, stava perdendo copiosamente sangue e sopratutto avrebbe dovuto arrampicarsi con una mano sola.

Aron era un ottimo scalatore e nonostante le condizioni in cui si trovava riuscì a raggiungere la superficie.

Adesso doveva arrivare al suo pick-up lontano ben 13km. Sapeva benissimo che era cominciata una corsa contro il tempo perché di lì a poco sarebbe morto dissanguato.

Durante il viaggio verso il furgone incontrò una famiglia in vacanza che gli fornì acqua e biscotti e che prontamente si apprestò a chiamare le autorità per soccorrerlo.

Aron Ralston in quel momento, ad un passo dalla salvezza, continuava ad avere una sola paura, non riuscire a resistere abbastanza.

Il sangue continuava a riversarsi a terra.

Erano passate sei ore dall’amputazione del braccio quando finalmente arrivarono i soccorsi che prontamente misero in salvo la vita di questo coraggioso ragazzo.

Quella che segue è la toccante voce di Aron Ralston durante quei difficilissimi momenti, durante quelle lunghissime 127 ore.

 

 

È sottotitolato in inglese per cui ti riporto di seguito la traduzione.

“C’è l’ho messa tutta per non perdere calore corporeo.

Ho poca, pochissima acqua.

Il mio corpo ha difficoltà a mantenere il controllo della temperatura.

Sono in guai seri. È più che un suicidio.

Il mio veicolo è a 4 ore da qui. Risalire è probabilmente impossibile con una mano.

La perdita di sangue e la disidratazione, penso, non me lo consentiranno.

Credo che morirei se mi tagliassi il braccio.

Non ho idea di cosa ne sarà di me e cosa mi ha portato in questa situazione.

Vado in cerca dell’avventura e del rischio e questo mi fa sentire vivo.

Non dire a nessuno dove stavo andando è stato davvero stupido.

Non riesco a smettere di pensare a quanto è buono il succo di pompelmo o di una margarita, o un succo d’arancia o un ghiacciolo. Non so cosa darei per una di queste cose. Un’arancia, un mapo (incrocio tra mandarino e pompelmo), non posso pensare a queste cose.

Dio, sono davvero fregato. Mi sto consumando qua dentro giorno dopo giorno. Dio, maledizione. Quanto è stupido tutto questo.

Ci vorrà un sacco di tempo prima che qualcuno possa raggiungermi.

Gesù, ci ho provato. Ho provato a tagliare via il braccio ma riesco a malapena a tagliare la pelle con questo stupido coltello.

Ho provato un paio di lame diverse e tutto ciò che sono riuscito a farmi è qualche segno sulla pelle.

Riesco a malapena ad utilizzare un poco di sangue per disegnare…”

Se sei interessato ad approfondire questa storia t’invito a guardare il film diretto da Danny Boyle con James Franco nella parte di Aron Ralston: “127 ore”, il numero di ore in cui rimase intrappolato in quel canyon.

 

Di seguito riporto una cartina dettagliata dell’area dove Aron Ralston era andato a trascorrere quella che sarebbe dovuta essere una splendida giornata tra le pareti del Blue John Canyon.

Aron Ralston - non arrendersi mai - percorso - uym

Aron Ralston – non arrendersi mai – percorso – uym

127 Ore

127 Ore è il toccante libro di Aron Ralston che puoi trovare su Amazon.

127 Ore è una storia vera, una storia che ti tiene con il fiato sospeso fino alla fine.

Mi è piaciuto molto e non posso fare a meno di consigliartelo.

Leggilo e se vorrai condividere il tuo giudizio in merito potrai scriverlo sotto nell’area commenti.

 

Per concludere su Araon Rlaston e queste agghiaccianti 127 Ore

Il motivo per cui ho voluto condividere con te questa toccante, incredibile storia è perché mi ha davvero colpito.

Mentre mi documentavo per scrivere l’articolo mi calavo sempre più nei panni di Aron Ralston.

“Cosa avrei fatto al suo posto?

Cosa sarebbe successo alla mia famiglia?

Avrei avuto il coraggio di amputarmi il braccio?

Avrei sopportato tutto quel dolore o sarei svenuto?

Sarei morto per dissanguamento o per disidratazione?”

Una domanda però ancora più importante continua a riecheggiarmi in testa: “Quali erano i suoi pensieri durante quei 5 lunghissimi giorni?”

Domande a cui è impossibile trovare risposta stando seduto comodamente davanti al PC.

Di una cosa però ho avuto ancora una volta conferma.

Troppo spesso ci lamentiamo delle sciocchezze quotidiane.

Troppe volte diamo per scontato ciò che abbiamo senza apprezzarlo e facciamo lo stesso con coloro che fanno parte della nostra vita.

Non deve essere così.

Sono convinto che la storia di Aron Ralston sia un modo efficace per ricordare a noi stessi quanto sia prezioso ciò che abbiamo intorno a noi e che mai e poi mai dobbiamo mollare… anche quando abbandonare ogni speranza e lasciarsi andare sembra essere l’unica strada percorribile.

Aron Ralston ci insegna che quando tutto sembra perduto c’è ancora modo di rialzarsi e ripartire.

Di solito è l’ultima chiave del mazzo quella che apre la porta.

 

 

Firma Marco Little UYM

Articolo Aron Ralston: non arrendersi mai

Matita - UYM

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